Letteratura

Kvi Kolitz, Yossl Rakover si rivolge a Dio, 1946

Credo nel Dio d’Israele, anche se ha fatto di tutto perché non credessi in lui. Credo nelle sue leggi, anche se non posso giustificare i suoi atti. Il mio rapporto con lui non è più quello di uno schiavo verso il suo padrone, ma di un discepolo verso il suo maestro. Chino la testa dinanzi alla sua grandezza, ma non bacerò la verga con cui mi percuote. Io lo amo, ma amo di più la sua Legge, e continuerei a osservarla anche se perdessi la mia fiducia in Lui. Dio significa religione, ma la sua Legge rappresenta un modello di vita, e quanto più moriamo in nome di quel modello di vita, tanto più esso diventa immortale.
Perciò concedimi, Dio, prima di morire, ora che in me non vi è traccia di paura e la mia condizione è di assoluta calma interiore e sicurezza, di chiederti ragione, per l’ultima volta nella vita.
Tu dici che abbiamo peccato? Di certo è così. Che perciò veniamo puniti? Posso capire anche questo. Voglio però sapere da Te: Esiste al mondo una colpa che meriti un castigo come quello che ci è stato inflitto?
Tu dici che ripagherai i nostri nemici con la stessa moneta? Sono convinto che li ripaghe­rai, e senza pietà, anche di questo non dubito. Voglio però sapere da Te: Esiste al mondo una punizione che possa far espiare il crimine commesso contro di noi?
Tu dici che ora non si tratta di colpa e punizione, ma che hai nascosto il Tuo volto, ab­bandonando gli uomini ai loro istinti? Ti voglio chiedere, Dio, e questa domanda brucia dentro di me come un fuoco divorante: Che cosa ancora, sì, che cosa ancora deve accadere perché Tu mostri nuovamente il Tuo volto al mondo?
Ti voglio dire in modo chiaro e aperto che ora più che in qualsiasi tratto precedente del nostro infinito cammino di tormenti, noi torturati, disonorati, soffocati, noi sepolti vivi e bruciati vivi, noi oltraggiati, scherniti, derisi, noi massacrati a milioni, abbiamo il diritto di sapere: Dove si trovano i confini della Tua pazienza?
E qualcosa ancora Ti voglio dire: Non tendere troppo la corda, perché, non sia mai, potrebbe spezzarsi. La prova cui Tu ci hai sottoposti è così ardua, così insostenibilmente ardua, che Tu devi, Tu hai l’obbligo di perdonare quanti nel Tuo popolo si sono allontanati da Te nella loro disgrazia e nella loro indignazione.
Perdona quelli che si sono allontanati da Te nella loro disgrazia, ma anche quanti nel Tuo popolo si sono allontanati da Te nella loro fortuna. Hai trasformato la nostra esistenza in una lotta così orribile e infinita che i vigliacchi tra noi hanno per forza cercato di evitarla, di fuggirla ovunque potessero. Non li punire per questo: i vigliacchi non si puniscono, i vigliacchi si compatiscono. E di loro più che di noi abbi misericordia, Dio.
Perdona quelli che hanno bestemmiato il Tuo nome, che sono andati a servire altri dèi, che sono diventati indifferenti verso di Te. Tu li hai percossi a tal punto che non credono più che Tu sia il loro padre, che ci sia comunque un padre per loro.
Quanto a me, Ti dico queste parole perché io credo in Te, perché credo in Te più che mai, perché ora so che sei il mio Dio, poiché di certo non sei, no, non puoi essere il Dio di quanti, con le loro azioni, hanno dato la prova più atroce di empietà in armi.
Se non sei il mio Dio, di chi sei allora il Dio? Il Dio degli assassini?
Se quelli che ci odiano, che ci massacrano, sono uomini delle tenebre e malvagi, che cosa sono io allora se non colui che rappresenta una scintilla della Tua luce, della Tua bontà? Non Ti posso lodare per le azioni che tolleri, ma Ti benedico e Ti lodo per la Tua stessa esistenza, per la Tua terribile maestà - deve essere immane se persino quanto accade ora non lascia in Te un’impressione decisiva!
Ma proprio perché Tu sei così grande e io così piccolo, Ti chiedo, Ti avverto, nel Tuo stesso nome: Cessa di esaltare la Tua grandezza lasciando colpire gli innocenti!
Non Ti chiedo neanche di annientare i colpevoli. È nella logica inesorabile degli avveni­menti che alla fine si annientino da soli, poiché con la nostra morte è stata uccisa la co­scienza del mondo, poiché un mondo è stato assassinato con l’assassinio d’Israele. […] La morte non può aspettare oltre, e io devo finire di scrivere. Dai piani superiori gli spari si fanno ogni istante più isolati. Cadono adesso gli ultimi difensori di questa postazione, e con loro cade e muore la grande, bella, devota Varsavia ebraica. Il sole è ormai al tramonto, e ringrazio Dio che non dovrò rivederlo mai più. Il bagliore degli incendi penetra dalla finestrella, e il frammento di cielo davanti a me è rosso e increspato come una cascata di sangue. Tra un’ora al massimo sarò con la mia famiglia, e con milioni di altri uccisi del mio popolo, in quel mondo migliore in cui non vi sono più dubbi e Dio è l’unico pietoso sovrano. Muoio tranquillo, ma non appagato, colpito, ma non asservito, amareggiato, ma non deluso, credente, ma non supplice, colmo d’amore per Dio, ma senza rispondergli ciecamente "amen".