Letteratura

Eric-Emmanuel Schmitt, Oscar e la dama in rosa, 2004

Caro Dio,
mi chiamo Oscar, ho dieci anni, ho appiccato il fuoco al gatto, al cane, alla casa (credo persino di aver arrostito i pesci rossi) ed è la prima lettera che ti mando perché finora, a causa dei miei studi. non ho avuto tempo.
Ti avverto subito: detesto scrivere. Bisogna davvero che ci sia obbligato. Perché scrivere è soltanto una bugia che abbellisce la realtà. Una cosa da adulti.
La prova? Per esempio, prendi l’inizio della mia lettera: "Mi chiamo Oscar, ho dieci anni, ho appiccato il fuoco al gatto, al cane, alla casa (credo persino di aver arrostito i pesci rossi) ed è la prima lettera che ti mando perché finora, a causa dei miei studi, non ho avuto tempo". Avrei potuto esordire dicendo: "Mi chiamano Testa d’uovo, dimostro sette anni, vivo all’ospedale a causa del cancro e non ti ho mai rivolto la parola perché non credo nemmeno che tu esista".
Ma se ti scrivo una roba del genere, fa un brutto effetto e ti interesseresti meno a me. E io ho bisogno che t’interessi.
Inoltre mi farebbe comodo che tu avessi il tempo di farmi due o tre piaceri.
Ti spiego.
L’ospedale è un posto strasimpatico, con un sacco di adulti di buon umore che parlano forte, con un mucchio di giocattoli e di signore in rosa che vogliono divertirsi con i bambini, con amichetti sempre disponibili […]. L’ospedale è molto gradevole se sei un malato gradito.
Io non faccio più piacere. Da quando sono stato sottoposto al trapianto di midollo osseo, sento proprio che non faccio più piacere. […] Ho capito che sono diventato un cattivo malato, un malato che impedisce di credere che la medicina sia straordinaria. […]
Adesso tutto il piano, le infermiere, gli interni e le donne delle pulizie mi guardano nello stesso modo. Hanno l’aria triste quando sono di buon umore; si sforzano di ridere quando racconto una storiella. E vero, non ridono più come prima.
Solo Nonna Rosa non è cambiata. Secondo me è comunque troppo vecchia per cambiare. E poi è anche troppo Nonna Rosa. Nonna Rosa non te la presento, Dio, è una tua buona amica, visto che è stata lei a dirmi di scriverti. Il problema è che sono l’unico a chiamarla Nonna Rosa. Dunque, devi fare uno sforzo per capire di chi parlo: fra le signore in camice rosa che vengono da fuori a passare del tempo con i bambini malati, è la più vecchia di tutte.
"Quanti anni ha, Nonna Rosa?"
"Riesci a tenere a mente i numeri con tredici cifre, Oscar?"
"Oh! Lei esagera!"
"No. Qui non devono assolutamente sapere la mia età, altrimenti mi cacciano e non ci vedremo più."
"Perché?"
"Sono qui di contrabbando. C’è un’età limite per essere una signora in rosa. E io l’ho superata abbondantemente." […]
"O.K.! Non dirò nulla."
E stata davvero coraggiosa a confessarmi il suo segreto. Ma con me ha avuto fortuna. Sarò muto anche se trovo strano, viste tutte le rughe simili a raggi di sole che ha attorno agli occhi, che a nessuno sia venuto il sospetto.
Un’altra volta sono venuto a conoscenza di un altro suo segreto e così sono sicuro, Dio, che potrai identificarla.
Passeggiavamo nel parco dell’ospedale e lei ha pestato una cacca.
"Merda!"
"Nonna Rosa, ma che brutte parole dice!"
"Oh, ragazzino, lasciami in pace! Parlo come voglio!" […]
Quando ci siamo seduti su una panchina per succhiare una caramella, le ho chiesto:
"Com’è che parla così male?"
"Deformazione professionale, piccolo mio. Nel mio mestiere ero fottuta se avevo un vocabolario troppo delicato."
"E che mestiere faceva?"
"Non mi crederai..."
"Le giuro di sì."
"Lottatrice di catch."
"Non le credo!"
"Lottatrice di catch! Mi avevano soprannominata la Strangolatrice del Languedoc."
Da quel momento, quando ho una botta di tristezza e Nonna Rosa è sicura che nessuno può sentirci, mi racconta i suoi grandi tornei […]. I suoi combattimenti mi fanno sognare, perché immagino la mia amica sul ring com’è adesso, una vecchietta in camice rosa un po’ traballante, intenta a dare un sacco di botte a delle orchesse in costume da bagno. Ho l’impressione di essere io. Divento il più forte. Mi vendico.
Dio, se con tutti questi indizi non indovini chi è Nonna Rosa, o la Strangolatrice del Languedoc, allora devi smettere di essere Dio e andare in pensione. Sono stato chiaro?
Torno ai fatti miei.
Insomma, il mio trapianto ha molto deluso qui. Anche la mia chemio deludeva, ma era meno grave finché c’era la speranza del trapianto. Adesso ho l’impressione che i medici non sappiano più che cosa proporre, e che mi considerino un caso pietoso. Il dottor Düsseldorf, che la mamma trova così bello, anche se per me è un po’ forte di sopracciglia, ha l’aria sconsolata di un Babbo Natale che non abbia più regali nella sua gerla.
L’atmosfera si deteriora. Ne ho parlato al mio amico Bacon. […]
"Ma perché non mi dicono semplicemente che morirò?"
Allora Bacon ha fatto come tutti all’ospedale: è diventato sordo. Se dici "morire" in un ospedale, nessuno sente. Puoi star sicuro che ci sarà un vuoto d’aria e che si parlerà d‘altro. Ho fatto la prova con tutti. Tranne con Nonna Rosa.
Allora stamattina ho voluto vedere se anche lei in quel momento diventava dura d’orecchi.
"Nonna Rosa, ho l’impressione che nessuno mi dica che morirò."
Mi ha guardato. Avrebbe reagito come gli altri: Per favore, Strangolatrice del Languedoc, resisti e conserva l’udito!
"Perché vuoi che te lo dicano se lo sai già, Oscar?"
Uffa, ha sentito.
"Ho l’impressione, Nonna Rosa, che abbiano inventato un ospedale diverso da quello che esiste veramente. Fanno come se si venisse all’ospedale solo per guarire. Mentre ci si viene anche per morire."
"Hai ragione, Oscar. E credo che si commetta lo stesso errore per la vita. Dimentichiamo che la vita è fragile, friabile, effimera. Facciamo tutti finta di essere immortali."
"È fallita la mia operazione, Nonna Rosa?"
Nonna Rosa non ha risposto. Era il suo modo di dire di sì. Quando è stata sicura che avevo capito, si è avvicinata e mi ha chiesto, in tono supplichevole: "Non ti ho detto nulla, naturalmente. Me lo giuri?".
"Giuro."
Abbiamo taciuto un momentino per riflettere un po’.
"E se scrivessi a Dio, Oscar?"
"Ah no, non lei, Nonna Rosa!"
"Cosa, non io?"
"Non lei! Credevo che non fosse bugiarda."
"Ma non ti dico bugie..."
"Allora perché mi parla di Dio? Mi hanno già raccontato la frottola di Babbo Natale. Una volta basta!"
"Oscar, non c’è alcun rapporto fra Dio e Babbo Natale."
"Sì. È la stessa cosa. Ti riempiono la testa di tutt’e due!"
"Immagini che io, una ex lottatrice di catch con centosessanta tornei vinti su centosessantacinque, di cui quarantatre per K.O., la Strangolatrice del Languedoc, possa credere per un attimo a Babbo Natale?"
"No."
"Beh, io non credo a Babbo Natale ma credo in Dio. Ecco."
Ovviamente, detto così, cambiava tutto.
"E perché dovrei scrivere a Dio?"
"Ti sentiresti meno solo."
"Meno solo con qualcuno che non esiste?"
"Fallo esistere."
Si è chinata verso di me.
"Ogni volta che crederai in lui, esisterà un po’ di più. Se persisti, esisterà completamente. Allora, ti farà del bene."
"Che cosa posso scrivergli?"
"Confidagli i tuoi pensieri. I pensieri che non dici sono pensieri che pesano, che si incrostano, che ti opprimono, che ti immobilizzano, che prendono il posto delle idee nuove e che ti infettano. […]
"O.K."
"E poi, a Dio puoi domandare una cosa al giorno. Attenzione! Una sola."
"È una nullità, il suo Dio, Nonna Rosa. Aladino aveva diritto a tre desideri con il genio della lampada."
"Un desiderio al giorno è meglio di tre in una vita, no?"
"O.K. Allora posso ordinargli tutto? Giocattoli, caramelle, un’auto..."
"No, Oscar. Dio non è Babbo Natale. Puoi chiedere solo cose dello spirito."
"Esempio?"
"Esempio: del coraggio, della pazienza, dei chiarimenti."
"O.K. Capisco."
"E puoi anche, Oscar, suggerirgli dei favori per gli altri."
"Non esageriamo, Nonna Rosa, un desiderio al giorno me lo tengo per me!"
Ecco. Allora Dio, in occasione di questa prima lettera, ti ho mostrato un po’ il genere di vita che conduco qui, all’ospedale, dove adesso mi considerano come un ostacolo alla medicina, e mi piacerebbe chiederti un chiarimento: guarirò? Rispondi di sì o di no. Non è molto complicato. Sì o no. Ti basta cancellare la menzione inutile.

domani, baci,
Oscar.

P. S. Non ho il tuo indirizzo: come faccio?
[…]


Caro Dio,
grazie di essere venuto.
Hai scelto davvero il momento giusto, perché non stavo bene. Forse anche perché eri rimasto turbato dalla mia lettera di ieri...
Quando mi sono svegliato, ho pensato che avevo novant’anni e ho girato la testa verso la finestra per guardare la neve.
E allora ho indovinato che venivi. Era mattino. Ero solo sulla terra. Era talmente presto che gli uccelli dormivano ancora, che persino l’infermiera di notte, la signora Ducru, aveva dovuto schiacciare un pisolino e tu cercavi di fabbricare l’alba. Facevi fatica, ma insistevi. Il cielo impallidiva. Tingevi l’aria di bianco, di grigio, di azzurro, respingevi la notte, risvegliavi il mondo. Non ti fermavi. È stato allora che ho capito la differenza fra te e noi: tu sei un tipo infaticabile! Uno che non si stanca. Sempre al lavoro. Ed ecco il giorno! Ed ecco la notte! Ed ecco la primavera! Ed ecco l’inverno! Ed ecco Peggy Blue! Ed ecco Oscar! Ed ecco Nonna Rosa! Che salute di ferro!
Ho capito che eri qui. Che mi rivelavi il tuo segreto: ogni giorno guarda il mondo come se fosse la prima volta.
Allora ho seguito il tuo consiglio con impegno. La prima volta. Contemplavo la luce, i colori, gli alberi, gli uccelli, gli animali. Sentivo l’aria che mi passava nelle narici e mi faceva respirare. Udivo le voci che salivano nel corridoio come nella volta di una cattedrale. Mi trovavo vivo. Fremevo di pura gioia. La felicità di esistere. Ero incantato.
Grazie, Dio, di aver fatto questo per me. Avevo l’impressione che mi prendessi per mano e che mi conducessi nel cuore del mistero a contemplarlo. Grazie.

domani, baci,
Oscar.

[…]


Caro Dio,
oggi ho cent’anni. Come Nonna Rosa. Dormo molto ma mi sento bene.
Ho cercato di spiegare ai miei genitori che la vita è uno strano regalo.
All’inizio lo si sopravvaluta, questo regalo: si crede di aver ricevuto la vita eterna. Dopo lo si sottovaluta, lo si trova scadente, troppo corto, si sarebbe quasi pronti a gettarlo. Infine ci si rende conto che non era un regalo, ma solo un prestito. Allora si cerca di meritarlo. Io che ho cent’anni, so di che cosa parlo. Più si invecchia, più bisogna dar prova di gusto per apprezzare la vita. Si deve diventare raffinati, artisti. Qualunque cretino può godere della vita a dieci o a vent’anni, ma a cento, quando non ci si può più muovere, bisogna avvalersi della propria intelligenza.
Non so se li ho convinti del tutto.
Valli a trovare. Finisci il lavoro. Io sono un po’ stanco.

domani, baci,
Oscar.



Caro Dio,
centodieci anni. Sono tanti. Credo di cominciare a morire.

Oscar.



Caro Dio,
il ragazzino è morto.
Sarò sempre una signora in rosa ma non sarò più Nonna Rosa. Lo ero soltanto per Oscar.
Si è spento stamattina, durante la mezz’ora in cui i suoi genitori e io siamo andati a prendere un caffè. Lo ha fatto senza di noi. Penso che abbia aspettato quel momento per risparmiarci. Come se volesse evitarci la violenza di vederlo scomparire. Era lui, in realtà, a vegliare su di noi.
Ho il cuore grosso, ho il cuore pesante, Oscar vi abita e non posso scacciarlo. Bisogna che tenga ancora le mie lacrime per me, fino a stasera, perché non voglio confrontare la mia pena con quella, inesprimibile, dei suoi genitori.
Grazie di avermi fatto conoscere Oscar. Grazie a lui ero divertente, inventavo delle leggende, me ne intendevo persino di catch. Grazie a lui ho riso e ho conosciuto la gioia. Mi ha aiutata a credere in te. Sono piena di un amore ardente, me ne ha dato tanto che ne ho per tutti gli anni a venire.

A presto,
Nonna Rosa.



P. S. Negli ultimi tre giorni, Oscar aveva posato un biglietto sul suo comodino. Credo che ti riguardi. Ci aveva scritto: "Solo Dio ha il diritto di svegliarmi".