Documenti della Chiesa

Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, 1988

1. La dignità della donna e la sua vocazione - oggetto costante della riflessione umana e cristiana - hanno assunto un rilievo tutto particolare negli anni più recenti. Ciò è dimostrato, tra l’altro, dagli interventi del Magistero della Chiesa, rispecchiati in vari documenti del Concilio Vaticano II, il quale afferma poi nel Messaggio finale: "Viene l’ora, l’ora è venuta, in cui la vocazione della donna si svolge con pienezza, l’ora in cui la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto. È per questo che, in un momento in cui l’umanità conosce una così profonda trasformazione, le donne illuminate dallo spirito evangelico possono tanto operare per aiutare l’umanità a non decadere". […]
In uno dei suoi Discorsi Paolo VI disse tra l’altro: "Nel cristianesimo, infatti, più che in ogni altra religione, la donna ha fin dalle origini uno speciale statuto di dignità, di cui il Nuovo Testamento ci attesta non pochi e non piccoli aspetti [...]; appare all’evidenza che la donna è posta a far parte della struttura vivente e operante del cristianesimo in modo così rilevante che non ne sono forse ancora state enucleate tutte le virtualità".
I Padri della recente Assemblea del Sinodo dei Vescovi (ottobre 1987), dedicata a "la vocazione e la missione dei laici nella Chiesa e nel mondo a vent’anni dal Concilio Vaticano II", si sono di nuovo occupati della dignità e della vocazione della donna. Essi hanno auspicato, tra l’altro, l’approfondimento dei fondamenti antropologici e teologici necessari a risolvere i problemi relativi al significato e alla dignità dell’essere donna e dell’essere uomo. Si tratta di comprendere la ragione e le conseguenze della decisione del Creatore che l’essere umano esista sempre e solo come femmina e come maschio. Solo partendo da questi fondamenti, che consentono di cogliere la profondità della dignità e della vocazione della donna, è possibile parlare della sua presenza attiva nella Chiesa e nella società. […]

Maternità - verginità, due dimensioni della vocazione della donna

17. Dobbiamo ora rivolgere la nostra meditazione alla verginità e alla maternità, come due dimensioni particolari nella realizzazione della personalità femminile. Alla luce del Vangelo, esse acquistano la pienezza del loro senso e valore in Maria, che come Vergine divenne Madre del Figlio di Dio. Queste due dimensioni della vocazione femminile si sono in lei incontrate e congiunte in modo eccezionale, così che l’una non ha escluso l’altra, ma l’ha mirabilmente completata. La descrizione dell’annunciazione nel Vangelo di Luca indica chiaramente che ciò sembrava impossibile alla Vergine di Nazaret. Quando si sente dire: "Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù", ella subito chiede: "Come avverrà questo? Non conosco uomo" (Lc 1, 31.34).
Nell’ordine comune delle cose la maternità è frutto della reciproca "conoscenza" dell’uomo e della donna nell’unione matrimoniale. Maria, ferma nel proposito della propria verginità, pone la domanda al divino messaggero, e ne ottiene la spiegazione: "Lo Spirito Santo scenderà su di te"; la tua maternità non sarà conseguenza di una "conoscenza" matrimoniale, ma sarà opera dello Spirito Santo, e la "potenza dell’Altissimo" stenderà la sua "ombra" sul mistero del concepimento e della nascita del Figlio. Come Figlio dell’Altissimo egli ti viene dato esclusivamente da Dio, nel modo conosciuto da Dio. Maria, dunque, ha mantenuto il suo verginale "Non conosco uomo" (cfr. Lc 1, 34) e, al tempo stesso, è diventata Madre. La verginità e la maternità coesistono in lei: non si escludono reciprocamente e non si pongono dei limiti. Anzi, la persona della Madre di Dio aiuta tutti - specialmente tutte le donne - a scorgere in quale modo queste due dimensioni e queste due strade della vocazione della donna, come persona, si spieghino e si completino reciprocamente.

18. Per prender parte a questo "scorgere", occorre ancora una volta approfondire la verità sulla persona umana, ricordata dal Concilio Vaticano II. L’uomo - sia il maschio che la femmina - è l’unico essere nel mondo che Dio abbia voluto per se stesso: è una persona, è un soggetto che decide di sé. Al tempo stesso, l’uomo "non può ritrovarsi pienamente se non mediante un dono sincero di sé". È stato già detto che questa descrizione, anzi, in un certo senso, questa definizione della persona corrisponde alla fondamentale verità biblica circa la creazione dell’uomo - uomo e donna - a immagine e somiglianza di Dio. Questa non è un’interpretazione puramente teorica, o una definizione astratta, poiché essa indica in modo essenziale il senso dell’essere uomo, mettendo in rilievo il valore del dono di sé, della persona. In questa visione della persona è contenuta anche l’essenza di quell’"ethos" che, collegandosi alla verità della creazione, sarà sviluppato pienamente dai Libri della Rivelazione e, in particolare, dai Vangeli.
Questa verità sulla persona apre, inoltre, la strada a una piena comprensione della maternità della donna. La maternità è frutto dell’unione matrimoniale di un uomo e di una donna, di quella "conoscenza" biblica che corrisponde all’"unione dei due nella carne" (cfr. Gen 2, 24), e in questo modo essa realizza - da parte della donna - uno speciale "dono di sé" come espressione di quell’amore sponsale col quale gli sposi si uniscono tra loro così strettamente da costituire "una sola carne". La "conoscenza" biblica si realizza secondo la verità della persona solo quando il reciproco dono di sé non viene deformato né dal desiderio dell’uomo di diventare "padrone" della sua sposa ("Egli ti dominerà"), né dal chiudersi della donna nei propri istinti ("Verso tuo marito sarà il tuo istinto": Gen 3, 16).
Il reciproco dono della persona nel matrimonio si apre verso il dono di una nuova vita, di un nuovo uomo, che è anche persona a somiglianza dei suoi genitori. La maternità implica sin dall’inizio una speciale apertura verso la nuova persona: e proprio questa è la "parte" della donna. In tale apertura, nel concepire e nel dare alla luce il figlio, la donna "si ritrova mediante un dono sincero di sé". Il dono dell’interiore disponibilità nell’accettare e nel mettere al mondo il figlio è collegato all’unione matrimoniale, che - come è stato detto - dovrebbe costituire un momento particolare del reciproco dono di sé da parte e della donna e dell’uomo. Il concepimento e la nascita del nuovo uomo, secondo la Bibbia, sono accompagnati dalle seguenti parole della donna-genitrice: "Ho acquistato un uomo dal Signore" (Gen 4, 1). L’esclamazione di Eva, "madre di tutti i viventi", si ripete ogni volta che viene al mondo un nuovo uomo ed esprime la gioia e la consapevolezza della donna di partecipare al grande mistero dell’eterno generare. Gli sposi partecipano della potenza creatrice di Dio!
La maternità della donna, nel periodo tra il concepimento e la nascita del bambino, è un processo bio-fisiologico e psichico che ai nostri giorni è conosciuto meglio che non in passato ed è oggetto di molti studi approfonditi. L’analisi scientifica conferma pienamente come la stessa costituzione fisica della donna e il suo organismo contengano in sé la disposizione naturale alla maternità, al concepimento, alla gravidanza e al parto del bambino, in conseguenza dell’unione matrimoniale con l’uomo. Al tempo stesso, tutto ciò corrisponde anche alla struttura psico-fisica della donna. Quanto i diversi rami della scienza dicono su questo argomento è importante e utile, purché non si limitino a un’interpretazione esclusivamente bio-fisiologica della donna e della maternità. Una simile immagine "ridotta" andrebbe di pari passo con la concezione materialistica dell’uomo e del mondo. In tal caso, andrebbe purtroppo smarrito ciò che è veramente essenziale: la maternità, come fatto e fenomeno umano, si spiega pienamente in base alla verità sulla persona. La maternità è legata con la struttura personale dell’essere donna e con la dimensione personale del dono: "Ho acquistato un uomo dal Signore" (Gen 4, 1). Il Creatore fa ai genitori il dono del figlio. Da parte della donna, questo fatto è collegato in modo speciale a "un dono sincero di sé". Le parole di Maria all’annunciazione: "Avvenga di me quello che hai detto" significano la disponibilità della donna al dono di sé e all’accoglienza della nuova vita.
Nella maternità della donna, unita alla paternità dell’uomo, si riflette l’eterno mistero del generare che è in Dio stesso, in Dio uno e trino (cfr. Ef 3, 14-15). L’umano generare è comune all’uomo e alla donna. E, se la donna, guidata dall’amore verso il marito, dirà: "Ti ho dato un figlio", le sue parole nello stesso tempo significano: "Questo è nostro figlio". Eppure, anche se tutti e due insieme sono genitori del loro bambino, la maternità della donna costituisce una "parte" speciale di questo comune essere genitori, nonché la parte più impegnativa. L’essere genitori - anche se appartiene ad ambedue - si realizza molto più nella donna, specialmente nel periodo prenatale. E la donna a "pagare" direttamente per questo comune generare, che letteralmente assorbe le energie del suo corpo e della sua anima. Bisogna, pertanto, che l’uomo sia pienamente consapevole di contrarre, in questo loro comune essere genitori, uno speciale debito verso la donna. Nessun programma di "parità di diritti" delle donne e degli uomini è valido, se non si tiene presente questo in un modo del tutto essenziale.
La maternità contiene in sé una speciale comunione col mistero della vita, che matura nel seno della donna: la madre ammira questo mistero, con singolare intuizione "comprende" quello che sta avvenendo dentro di lei. Alla luce del "principio" la madre accetta e ama il figlio che porta in grembo come una persona. Questo modo unico di contatto col nuovo uomo che si sta formando crea, a sua volta, un atteggiamento verso l’uomo - non solo verso il proprio figlio, ma verso l’uomo in genere -, tale da caratterizzare profondamente tutta la personalità della donna. Si ritiene comunemente che la donna più dell’uomo sia capace di attenzione verso la persona concreta e che la maternità sviluppi ancora di più questa disposizione. L’uomo - sia pure con tutta la sua partecipazione all’essere genitore - si trova sempre "all’esterno" del processo della gravidanza e della nascita del bambino, e deve per tanti aspetti imparare dalla madre la sua propria "paternità". Questo - si può dire - fa parte del normale dinamismo umano dell’essere genitori, anche quando si tratta delle tappe successive alla nascita del bambino, specialmente nel primo periodo. L’educazione del figlio, globalmente intesa, dovrebbe contenere in sé il duplice contributo dei genitori: il contributo materno e paterno. Tuttavia, quello materno è decisivo per le basi di una nuova personalità umana. […]