Poesia

Roberto Vecchioni, Samarcanda, 1977

Ridere, ridere, ridere ancora,
ora la guerra paura non fa,
brucian le divise dentro il fuoco la sera,
brucia nella gola vino a sazietà,
musica di tamburelli fino all’aurora,
il soldato che tutta la notte ballò,
vide fra la folla quella nera signora,
vide che cercava lui,e si spaventò.
"Salvami, salvami, grande sovrano,
fammi fuggire, fuggire di qua,
alla parata lei mi stava vicino,
e mi guardava con malignità".
"Dategli, dategli un animale,
figlio del lampo, degno di un re,
presto, più presto perché possa scappare,
dategli la bestia più veloce che c’è".
Corri cavallo, corri ti prego
fino a Samarcanda io ti guiderò,
non ti fermare, vola ti prego
corri come il vento che mi salverò.
[…]
Fiumi poi campi poi l’alba era viola,
bianche le torri che infine toccò,
ma c’era fra la folla quella nera signora
stanco di fuggire la sua testa chinò:
"Eri tra la gente nella capitale,
so che mi guardavi con malignità,
son scappato in mezzo ai grilli e alle cicale,
son scappato via ma ti ritrovo qua!"
"Sbagli, t’inganni, ti sbagli soldato
io non ti guardavo con malignità,
era solamente uno sguardo stupito,
cosa ci facevi l’altro ieri là?
T’aspettavo qui per oggi a Samarcanda,
eri lontanissimo due giorni fa,
ho temuto che per ascoltar la banda
non facessi in tempo ad arrivare qua.
[…]