Antico Testamento

La sofferenza di Giobbe (Gb 1, 1-22; 2, 1-13; 3, 1-26; 10, 1-7)

Viveva nella terra di Us un uomo chiamato Giobbe, integro e retto, timorato di Dio e lontano dal male. Gli erano nati sette figli e tre figlie; possedeva settemila pecore e tremila cammelli, cinquecento paia di buoi e cinquecento asine, e una servitù molto numerosa. Quest’uomo era il più grande fra tutti i figli d’oriente.
I suoi figli solevano andare a fare banchetti in casa di uno di loro, ciascuno nel suo giorno, e mandavano a invitare le loro tre sorelle per mangiare e bere insieme. Quando avevano compiuto il turno dei giorni del banchetto, Giobbe li mandava a chiamare per purificarli; si alzava di buon mattino e offriva olocausti per ognuno di loro. Giobbe infatti pensava: "Forse i miei figli hanno peccato e hanno maledetto Dio nel loro cuore". Così era solito fare Giobbe ogni volta.
Ora, un giorno, i figli di Dio andarono a presentarsi al Signore e anche Satana andò in mezzo a loro. Il Signore chiese a Satana: "Da dove vieni?". Satana rispose al Signore: "Dalla terra, che ho percorso in lungo e in largo". Il Signore disse a Satana: "Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, timorato di Dio e lontano dal male". Satana rispose al Signore: "Forse che Giobbe teme Dio per nulla? Non sei forse tu che hai messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quello che è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e i suoi possedimenti si espandono sulla terra. Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha, e vedrai come ti maledirà apertamente!". Il Signore disse a Satana: "Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stendere la mano su di lui". Satana si ritirò dalla presenza del Signore.
Un giorno accadde che, mentre i suoi figli e le sue figlie stavano mangiando e bevendo vino in casa del fratello maggiore, un messaggero venne da Giobbe e gli disse: "I buoi stavano arando e le asine pascolando vicino ad essi. I Sabei hanno fatto irruzione, li hanno portati via e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato soltanto io per raccontartelo".
Mentre egli ancora parlava, entrò un altro e disse: "Un fuoco divino è caduto dal cielo: si è appiccato alle pecore e ai guardiani e li ha divorati. Sono scampato soltanto io per raccontartelo".
Mentre egli ancora parlava, entrò un altro e disse: "I Caldei hanno formato tre bande: sono piombati sopra i cammelli e li hanno portati via e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato soltanto io per raccontartelo".
Mentre egli ancora parlava, entrò un altro e disse: "I tuoi figli e le tue figlie stavano mangiando e bevendo vino in casa del loro fratello maggiore, quand’ecco un vento impetuoso si è scatenato da oltre il deserto: ha investito i quattro lati della casa, che è rovinata sui giovani e sono morti. Sono scampato soltanto io per raccontartelo".
Allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello; si rase il capo, cadde a terra, si prostrò e disse:
"Nudo uscii dal grembo di mia madre,
e nudo vi ritornerò.
Il Signore ha dato, il Signore ha tolto,
sia benedetto il nome del Signore!".
In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di ingiusto.

Accadde, un giorno, che i figli di Dio andarono a presentarsi al Signore, e anche Satana andò in mezzo a loro a presentarsi al Signore. Il Signore chiese a Satana: "Da dove vieni?". Satana rispose al Signore: "Dalla terra, che ho percorso in lungo e in largo". Il Signore disse a Satana: "Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, timorato di Dio e lontano dal male. Egli è ancora saldo nella sua integrità; tu mi hai spinto contro di lui per rovinarlo, senza ragione". Satana rispose al Signore: "Pelle per pelle; tutto quello che possiede, l’uomo è pronto a darlo per la sua vita. Ma stendi un poco la mano e colpiscilo nelle ossa e nella carne e vedrai come ti maledirà apertamente!". Il Signore disse a Satana: "Eccolo nelle tue mani! Soltanto risparmia la sua vita".
Satana si ritirò dalla presenza del Signore e colpì Giobbe con una piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo. Giobbe prese un coccio per grattarsi e stava seduto in mezzo alla cenere. Allora sua moglie disse: "Rimani ancora saldo nella tua integrità? Maledici Dio e muori!". Ma egli le rispose: "Tu parli come parlerebbe una stolta! Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?".
In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra.
Tre amici di Giobbe vennero a sapere di tutte le disgrazie che si erano abbattute su di lui. Partirono, ciascuno dalla sua contrada, Elifaz di Teman, Bildad di Suach e Sofar di Naamà, e si accordarono per andare a condividere il suo dolore e a consolarlo. Alzarono gli occhi da lontano, ma non lo riconobbero. Levarono la loro voce e si misero a piangere. Ognuno si stracciò il mantello e lanciò polvere verso il cielo sul proprio capo. Poi sedettero accanto a lui in terra, per sette giorni e sette notti. Nessuno gli rivolgeva una parola, perché vedevano che molto grande era il suo dolore.

Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il suo giorno. Prese a dire:
"Perisca il giorno in cui nacqui
e la notte in cui si disse: È stato concepito un maschio!
Quel giorno divenga tenebra,
non se ne curi Dio dall’alto,
né brilli mai su di esso la luce.
Lo rivendichino la tenebra e l’ombra della morte,
gli si stenda sopra una nube
e lo renda spaventoso l’oscurarsi del giorno!
Quella notte se la prenda il buio,
non si aggiunga ai giorni dell’anno,
non entri nel conto dei mesi.
Ecco, quella notte sia sterile,
e non entri giubilo in essa.
La maledicano quelli che imprecano il giorno,
che sono pronti a evocare Leviatàn.
Si oscurino le stelle della sua alba,
aspetti la luce e non venga
né veda le palpebre dell’aurora,
poiché non mi chiuse il varco del grembo materno,
e non nascose l’affanno agli occhi miei!
Perché non sono morto fin dal seno di mia madre
e non spirai appena uscito dal grembo?
Perché due ginocchia mi hanno accolto,
e due mammelle mi allattarono?
Così, ora giacerei e avrei pace,
dormirei e troverei riposo
con i re e i governanti della terra,
che ricostruiscono per sé le rovine,
e con i principi, che posseggono oro
e riempiono le case d’argento.
Oppure, come aborto nascosto, più non sarei,
o come i bambini che non hanno visto la luce.
Là i malvagi cessano di agitarsi,
e chi è sfinito trova riposo.
Anche i prigionieri hanno pace,
non odono più la voce dell’aguzzino.
Il piccolo e il grande là sono uguali,
e lo schiavo è libero dai suoi padroni.
Perché dare la luce a un infelice
e la vita a chi ha amarezza nel cuore,
a quelli che aspettano la morte e non viene,
che la cercano più di un tesoro,
che godono fino a esultare
e gioiscono quando trovano una tomba,
a un uomo, la cui via è nascosta
e che Dio ha sbarrato da ogni parte?
Perché al posto del pane viene la mia sofferenza
e si riversa come acqua il mio grido,
perché ciò che temevo mi è sopraggiunto,
quello che mi spaventava è venuto su di me.
Non ho tranquillità, non ho requie,
non ho riposo ed è venuto il tormento!".

Io sono stanco della mia vita!
Darò libero sfogo al mio lamento,
parlerò nell'amarezza del mio cuore.
Dirò a Dio: "Non condannarmi!
Fammi sapere di che cosa mi accusi.
È forse bene per te opprimermi,
disprezzare l’opera delle tue mani
e favorire i progetti dei malvagi?
Hai tu forse occhi di carne
o anche tu vedi come vede l’uomo?
Sono forse i tuoi giorni come quelli di un uomo,
i tuoi anni come quelli di un mortale,
perché tu debba scrutare la mia colpa
ed esaminare il mio peccato,
pur sapendo che io non sono colpevole
e che nessuno mi può liberare dalla tua mano?